Lo si dice in fisica: tutto si tiene.
Sta a significare che in natura e nell’universo tutto è connesso a tutto, come del resto ci insegna pure la biologia del corpo umano. Lo si dice, dopo decenni di globalizzazione, anche in economia soprattutto relativamente ai mercati finanziari: un batter d’ali di una farfalla alla borsa di Singapore determina uno scossone a Francoforte o a Piazza Affari.
Ma, purtroppo, tutto si tiene anche in un altro senso.
Se non investi in ricerca, c’è poca innovazione, e non investi in ricerca perché non hai il senso del valore della ricerca. E questo succede perché? Perché non hai l’attrezzatura culturale adatta. Così il cerchio si chiude: poca istruzione genera poca ricerca, poca ricerca genera poca innovazione e poca innovazione genera poca produzione. A dirlo, in toni meno secchi di quanto affermo io, è l’ultima ricerca di Banca Ifis Impresa, che analizza i bilanci di 996.000 imprese, delle quali la maggior parte Pmi, come si può leggere a questo link.
Dunque? Siamo daccapo.
Finché non verrà sbloccato quel freno culturale che tiene al palo gli investimenti delle nostre imprese, è inutile attendere che siano i governi di turno a dare alla nostra economia nazionale quel sussulto o, forse, quello scossone, che da più di un decennio tutti invocano.
Come si può pretendere che un’impresa possa essere preferita ad un’altra se continua a sfornare lo stesso brodo, tutt’al più con l’aggiunta di qualche semplice eccipiente? Chi dovrebbe dare lo start a questa benedetta innovazione? Dalle altre parti come fanno? Semplice: si affidano soprattutto a chi ha la testa ben fatta, cioè a chi ha completato un percorso di studi serio, approfondito, di alto livello, dedicandovi i migliori anni della propria vita e dando prova di serietà e impegno, spesso accompagnati da non esigui costi.
E chi sono costoro?
I giovani.
Proprio quei giovani che invece l’Italia regala tranquillamente e sconsideratamente agli altri Paesi. Attenzione! Parliamo di giovani adulti, cioè persone che hanno salutato dalle 25 alle 38 primavere.
Ecco perché tutto si tiene: se fai fuoriuscire oltre centomila teste ben fatte ogni anno e questa moria la consenti ormai da tre - quattro decenni senza nemmeno batter ciglio, come puoi sperare di trovare cose nuove da fare e produrre? O nuovi modi di organizzare tutta la macchina aziendale, o di affrontare i mercati?
Certo, le misure strutturali sono necessarie, abbattere il famigerato cuneo fiscale è necessario, fare in modo che la spesa pubblica improduttiva sia eliminata è determinante. Ma poi, se non hai farina nuova da mettere nel sacco, con che cosa pensi di fare il pane? Sfornerai le solite pagnotte, augurandoti che i clienti si accontentino. Fino a quando? Fino a quando non scopriranno che il fornaio del paese vicino sforna ben altro pane.
Semplice, no? A parole non ho mai trovano un’obiezione a questo ragionamento.
Il problema sta nell’applicazione.
Perché per innovare occorre porre mano al portafoglio e decidere di mettere delle banconote lì dove non puoi pretendere che il risultato sia certo e tanto meno immediato.
Investire nella ricerca, per definizione stessa del termine ricerca, significa puntare su quello che ancora non è noto e quindi non è sicuro e questo cozza contro l’inveterata abitudine della maggior parte degli imprenditori, i quali hanno stravolto la legge di Pareto del famoso 20 e 80. Pareto, contrariamente alla vulgata corrente, non ha mai detto che tu devi investire 20 denari per portarne a casa 80. Sarebbe fantastico, ma anche illusorio. Pareto ha detto un’altra cosa: impara ad analizzare bene i fatti della tua azienda e ti accorgerai che sono non più di 20 i fattori che spiegano l’80% dei risultati. Quindi, direbbe Pareto, impara ad usare in modo accorto le tue risorse per evitare facili e incontrollati sprechi. E, conseguentemente, impara a verificare quali fattori sono davvero produttivi, ma, nello stesso tempo, alza anche la tua mira e allunga la tua prospettiva temporale.
I Greci di un tempo chiamavano la ricerca con la parola skepsis, che vuol dire scavo. Quando, con il mio piccone, mi accingo a scavare nel suolo, non so, all’inizio, se e che cosa troverò. Ma una cosa so con assoluta certezza: se non scavo, rimarrò sempre e solo con quello che ho in mano in questo momento.
Il prezzo maggiore non è quello della ricerca, ma quello della non ricerca. Il vero costo non sta nella ricerca, ma nel non ricercare.
Che cosa è la ricerca se non un appuntamento al buio con la conoscenza? Detto da colui che, a metà del XVI secolo ha scoperto il sistema circolatorio del sangue nel corpo umano, William Harvey, possiamo dargli credito.
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